Le novità della ricerca dell’Università inglese di Nottingham sul paracetamolo
Il paracetamolo, noto anche come acetaminofene, è un principio attivo largamente utilizzato per le sue proprietà analgesiche e antipiretiche.
Introdotto nel mercato farmaceutico a metà del XX secolo, è diventato uno dei farmaci più prescritti e acquistati senza ricetta medica, grazie alla sua efficacia nel trattamento di sintomi comuni come febbre e dolore lieve o moderato.
Cos’è il paracetamolo e come funziona
Il paracetamolo agisce principalmente nel sistema nervoso centrale, inibendo la sintesi delle prostaglandine, molecole coinvolte nella trasmissione del dolore e nella regolazione della temperatura corporea.
A differenza dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), il paracetamolo non possiede un’azione antinfiammatoria significativa e non irrita la mucosa gastrica, rendendolo una scelta preferibile per chi ha problemi gastrointestinali.
L’effetto analgesico del paracetamolo è attribuito anche alla sua interazione con i sistemi serotoninergico e cannabinoide, che modulano la percezione del dolore.
Popolazioni specifiche: bambini, anziani, donne in gravidanza
Il paracetamolo è generalmente considerato sicuro per l’uso nei bambini, purché il dosaggio sia adeguato al peso e all’età. È spesso utilizzato per alleviare la febbre e il dolore nei più piccoli, grazie alla disponibilità di formulazioni pediatriche.
Nelle donne in gravidanza, il paracetamolo è uno dei pochi analgesici ritenuti sicuri, se assunto alle dosi raccomandate. Tuttavia, è sempre consigliabile consultare un medico prima dell’assunzione.
Per gli anziani, l’uso del paracetamolo deve essere monitorato attentamente, poiché la capacità di metabolizzare il farmaco può essere ridotta, aumentando il rischio di effetti collaterali, in particolare a carico del fegato e dei reni.
I risultati dello studio: un’analisi su larga scala
Una recente ricerca condotta dall’Università di Nottingham ha analizzato le cartelle cliniche di oltre 180.000 persone con un’età media di 75 anni che avevano ricevuto almeno due prescrizioni di paracetamolo in sei mesi.
Questi dati sono stati confrontati con quelli di circa 400.000 coetanei che non avevano assunto il farmaco nello stesso periodo.
I risultati hanno evidenziato un aumento del rischio di ulcere gastrointestinali, insufficienza cardiaca, ipertensione e malattie renali croniche tra coloro che avevano fatto un uso prolungato del paracetamolo.
La professoressa Weiya Zhang, prima autrice dello studio e membro del NIHR Biomedical Research Centre dell’Università di Nottingham, ha sottolineato che, sebbene i risultati siano significativi, sono necessarie ulteriori indagini per confermare la relazione causale tra l’uso del paracetamolo e l’insorgenza di tali effetti collaterali.
Le implicazioni per la popolazione anziana
L’uso del paracetamolo è particolarmente diffuso tra gli anziani, spesso per gestire dolori cronici come quelli associati all’osteoartrite.
Tuttavia, lo studio suggerisce che l’assunzione regolare e a lungo termine del farmaco in questa fascia di età potrebbe comportare rischi significativi per la salute.
In particolare, l’aumento della pressione sanguigna e i problemi renali possono avere conseguenze gravi in individui già vulnerabili.
È importante notare che, sebbene il paracetamolo sia generalmente considerato sicuro quando assunto secondo le indicazioni, l’automedicazione prolungata senza supervisione medica può portare a complicazioni. Pertanto, è essenziale che i pazienti, soprattutto quelli anziani, consultino il proprio medico prima di intraprendere un trattamento a lungo termine con paracetamolo.
Le critiche metodologiche allo studio
Nonostante le preoccupazioni sollevate, alcuni esperti hanno messo in discussione la validità dello studio, evidenziando che si tratta di un’analisi osservazionale.
Ciò significa che, pur identificando una correlazione tra l’uso prolungato di paracetamolo e l’aumento del rischio di determinate patologie, non è possibile stabilire con certezza un rapporto di causa-effetto.
Un portavoce dell’azienda Kenvue, produttrice di farmaci contenenti paracetamolo, ha dichiarato che lo studio presenta diversi limiti metodologici e non offre un adeguato rigore scientifico per giungere a conclusioni definitive.
Ha inoltre ricordato che il paracetamolo è stato utilizzato per oltre 60 anni con risultati positivi ed è generalmente considerato sicuro quando assunto seguendo le indicazioni.
Anche il professor Matteo Bassetti, direttore del reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale San Martino di Genova, ha sottolineato che, sebbene si tratti di un farmaco da banco, va comunque usato con cautela, soprattutto in caso di febbre alta, e sempre a dosi moderate.
Le raccomandazioni per un uso sicuro
Alla luce di questi risultati, è fondamentale adottare un approccio prudente nell’uso del paracetamolo, in particolare tra gli anziani. Le linee guida ufficiali raccomandano di utilizzare la dose più bassa efficace per il minor tempo possibile.
Per un adulto, la dose massima giornaliera consigliata è di circa 3 grammi, mentre per i bambini la quantità deve essere significativamente inferiore.
Inoltre, è importante considerare alternative terapeutiche, come altri farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS) come l’ibuprofene o il ketoprofene, che oltre ad avere un’azione antinfiammatoria, possiedono anche effetti antipiretici. Tuttavia, anche questi farmaci presentano potenziali effetti collaterali e devono essere utilizzati sotto supervisione medica.
Considerazioni finali
Il paracetamolo rimane una scelta sicura ed efficace per il trattamento di dolori lievi e febbre quando utilizzato correttamente.
Tuttavia, l’uso prolungato e non controllato, soprattutto tra le persone anziane, può comportare rischi significativi per la salute. È essenziale che i pazienti consultino il proprio medico prima di intraprendere un trattamento a lungo termine e che seguano attentamente le indicazioni sul dosaggio.
Per i professionisti della formazione e della salute, questi risultati sottolineano l’importanza di educare i pazienti sull’uso responsabile dei farmaci da banco e di promuovere una maggiore consapevolezza sui potenziali rischi associati all’automedicazione.